Premiati gli studi che avvicinano la realizzazione di macchine superveloci

Capire la fisica quantistica, quella che si occupa di spiegare il comportamento della materia quando si scende alle dimensioni di singole particelle elementari, è già un esercizio alquanto difficile. Arrivare a dominare questo mondo e a manipolarlo, intrappolando le particelle e costringendole a fare delle cose, sembra superare la fantasia. Come si fa a mettere il guinzaglio al fotone, la particella della luce, che è particella ma anche onda e che si muove, appunto, alla velocità della luce ed è prima di massa? E, soprattutto, come si fa a farlo senza che le proprietà quantistiche di queste particelle non svaniscano, riportandoci nel mondo “ordinario”?

Serge Haroche e David J. Wineland ci sono riusciti. Il primo intrappolando fotoni grazie a “gabbie” di atomi; il secondo facendo la cosa opposta, mettendo in trappola atomi grazie ai fotoni.
E così si sono aggiudicati il Premio Nobel per la Fisica del 2012. Un premio particolarmente atteso nell’anno della scoperta del bosone di Higgs sul quale molti bookmaker puntavano (ma raramente il Nobel arriva subito dopo una scoperta, in realtà: di solito passano alcuni anni).

Per capire che importanza abbiano le scoperte di Haroche e Wineland bisogna pensare che nella fisica quantistica le regole che conosciamo e che guidano la nostra esperienza quotidiana non valgono più. La fisica quantistica è il regno della probabilità e dell’indeterminatezza. E questo fa sì che, per esempio, una particella possa assumere contemporaneamente due valori. Per esempio zero e uno. Ora, zero e uno sono proprio i due valori con cui ragionano i computer. Ogni informazione nel mondo digitale è fatta da una serie zero e di uno. Ecco allora che usando particelle che lavorano secondo una logica quantistica e probabilistica la capacità di calcolo esplode: se ogni dato può valere sia zero che uno, le possibilità diventano enormi.

Una breve e chiara esposizione delle potenzialità del computer quantistico la trovare in questo video (in inglese, ma molto facile da capire).

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Se padroneggiate l’inglese un po’ meglio, questo video della The University of New South Wales australiana riuscirà a farvi entrare un po’ più a fondo in questi concetti (nonostante la musica di sottofondo che a tratti prevale sulle parole, purtroppo).

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