[vc_row][vc_column][vc_column_text]Che cosa pensano davvero della propria esperienza i ragazzi italiani che vanno a lavorare all’estero come ricercatori? Si sentono veramente “cervelli in fuga”, come li chiamano i giornalisti?
Al Lindau Nobel Laureates Meeting arrivano ogni anno i migliori giovani ricercatori di tutto il mondo. Nel 2012 gli italiani selezionati dalla dalla Fondazione Cariplo (con il contributo anche della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo) erano nove. Ufficialmente. Selezionati rigorosamente tra tutti quelli che potevano ambire a partecipare a questa settimana sul Lago di Costanza fatta di incontri a tu per con 25 Premi Nobel per discutere di fisica.
Ma la realtà è un po’ diversa. Anzi, molto diversa. Gli italiani al Meeting, infatti, sono più del doppio, oltre una ventina. Una delle delegazioni più numerose, se si escludono la Germania, che è il Paese in cui si svolge l’incontro, gli Stati Uniti o la Cina. Il miracolo di questa moltiplicazione avviene grazie al fatto che tanti italiani che lavorano all’estero vengono poi selezionati dai loro Centri di ricerca o dalle loro Università di riferimento per vivere questa avventura così particolare, dove con i Nobel si parla anche seduti a tavola o davanti a un caffè, si fanno crociere sul lago e si balla la sera. Ce ne eravamo già accorti l’anno scorso al Meeting dedicato alla Medicina, ma quest’anno, con la Fisica, le proporzioni sono davvero sorprendenti. E loro? Come vivono questa doppia appartenenza? Si sentono “cervelli in fuga”? Qualcuno non ha rimpianti, qualcuno è arrabbiato. Più che cervelli in fuga, però, preferiscono dirsi “cervelli in prestito”. Quasi tutti con la speranza che il prestito prima o poi finisca. Ecco le storie e i pareri di sei di loro.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]